Lettera 95 pubblicata il 23 settembre 2017

IN FINEM DILEXIT EOS: OMELIA DI MONS. WACH PER IL DECIMO ANNIVERSARIO DEL SUMMORUM PONTIFICUM

La magnifica Basilica romana di Santa Maria sopra Minerva ha fatto da cornice ad uno degli appuntamenti delle celebrazioni del decimo anniversario del motu proprio Summorum Pontificum: la Santa Messa di venerdì 15 settembre 2017, affidata all'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote. L'Istituto ha onorato in modo superbo l'occasione, mobilitando il suo seminario internazionale, accorrendo con oltre un centinaio di suoi membri, guidati dal superiore generale mons. Gilles Wach, e offrendo una cerimonia impeccabile. La grande basilica che ospita la tomba di Santa Caterina da Siena era gremita da molte centinaia di pellegrini che sono stati avvolti per due ore dallo splendore di una liturgia tutta rivolta alla maggior gloria di Dio.

Sin dai primi istanti, la lunga processione d'ingresso ha trasportato i presenti in un'atmosfera mistica ispirata dal lento incedere dei giovanissimi seminaristi, diaconi, sacerdoti, canonici, superiori, seguiti dal paterno cardinal Burke e dal celebrante, monsignor Wach. Vi proponiamo oggi la sua edificante omelia sviluppata attorno alla risposta dell'uomo al dono totale della Carità increata: “Cosa renderemo al Signore per tutto quello che ci ha dato?”


NB: La Santa Messa è stata celebrata in suffragio del cardinale Caffarra, improvvisamente scomparso pochi giorni prima, che avrebbe dovuto celebrare la Santa Messa del pellegrinaggio in San Pietro sabato 16 settembre: a lui il cardinale Burke ha dedicato una breve ed affettuosa commemorazione a margine dell'omelia.



Basilica della Minerva, Roma, 15 settembre 2017

“In finem dilexit eos.”

“Prima della festa di Pasqua - scrive l’Evangelista San Giovanni -, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, Gesù, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Carissimi amici, il nostro Divin Maestro ci ha amato fino alla consumazione della sua missione, fino alla consumazione del Suo mistero, fino alla consumazione della Sua persona. Non gli restava più null’altro che un letto di sofferenze e di tristezza: “tutto è consumato”! Oh sublime mistero della Redenzione!

Il Figlio dell’Uomo non si accontentò di vivere trentatré anni presso di noi, rinnovando quotidianamente con i suoi pensieri, parole ed opere la specie umana in tutti i suoi aspetti; Egli volle in sovrappiù offrirSi come vittima d’amore sull’altare più ammirevole che vi fosse. Non tanto il più ammirevole, quanto piuttosto il più temuto, il più doloroso, il più ignominioso…

La prospettiva della Salvezza non si limita tuttavia al triste spettacolo della crocifissione. Le stigmate gloriose del Risorto ci ricordano che la Redenzione deve trovare una rinnovata attualità nella nostra storia e giungere fino alla vita individuale di ciascuno di noi.

Sì, veramente, il Signore ci ha amato a perfezione e il suo amore rimane di generazione in generazione fino alla conclusione dei tempi “di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.”

La nostra vita terrena è una preparazione continua alla Pasqua finale, a quest’ultimo passaggio che ci porterà dalla valle di lacrime alla visione di Dio. E poiché, alla sera della nostra vita, come scrive san Giovanni della Croce, saremo giudicati sull’amore, sembra che non vi sia altro modo per anticipare l’incontro con Dio che vivere costantemente ai piedi della Croce.

Questo significa certamente risolversi a seguire nostro Signore nel segreto di Nazareth, ad immolare se stessi quotidianamente nell’adempimento esatto ed amorevole del dovere di stato. Ecco “l’estasi semplice, quella della vita e delle opere”, tanto cara a San Francesco di Sales.

C’è tuttavia un modo d’unione ancora più sublime, che ci mette in contatto diretto e immediato con il confidente intimo dell’anima: questo ponte verso il cielo è la sacra liturgia. Opera d’amore per eccellenza, il culto divino è il rinnovamento, l’aggiornamento, la continuazione della Passione di Cristo; in essa inoltre si scopre, nella mediocrità del secolo, la misericordia del Salvatore, e se ne ricevono gli innumerevoli favori. Che si tratti della Santa Eucaristia - il sacramento dell’amore per eccellenza -, della vita sacramentale o del canto dell’Ufficio divino, il Signore continua a inondare il mondo con le sue grazie; e in un tale eccesso di amore, non solo Egli si dona, ma ancora desidera mendicare l’amore dell’uomo, stimolare la generosità di un cuore di cui conosce sperimentalmente la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità, affinché quest’amore diventi una fonte di benefici e meriti… “poiché l’amore non ha forzati né schiavi, scrive san Francesco di Sales, esso riduce ogni cosa all’obbedienza con una forza così deliziosa che nulla è così forte come l’amore, e nulla è più amabile della sua forza”.

Ordunque, cari amici, morendo sulla Croce, il Signore ci ha mostrato chiaramente che la liturgia era il luogo di questa gloriosa azione: noi possiamo sempre contemplare Gesù che si dona; possiamo capire come l’anima deve incontrare lo sposo tanto nell’intimità del cuore quanto nella comunione dei santi.

La liturgia è come il segno della predilezione del Creatore per la sua creatura. Gesù intende restare tra gli uomini nella totalità del suo mistero. L’amore non può ridursi a un insieme di sensazioni e impressioni forti: si tratta innanzitutto della comunicazione di un bene. Più è alto il valore del bene scambiato tra gli amici più piena sarà la comunione, come insegna San Tommaso, e più perfetta sarà anche l’unione dei cuori.

Attraverso la liturgia, Dio Padre continua a inviare suo Figlio, vale a dire la sua immagine perfetta, “lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua sostanza, come si legge nella Lettera ai Ebrei, che, sostenendo tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, siede alla destra della Divina Maestà, nel più alto dei cieli”.

Nell’Ufficio divino, Gesù Cristo si comunica come Parola di verità: colui che porta a compimento e realizza gli oracoli dell’Antico Testamento, poiché Egli ne è il pieno ed autentico significato. “Chiunque sia l’autore dei Salmi, ha scritto Sant’Ilario di Poitiers, tutto ciò che vi è scritto deve essere letto e compreso alla luce del Vangelo (…) L’intero Salterio si riferisce alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla sua incarnazione, si riferisce alla sua passione e al suo regno glorioso, e ancora alla nostra risurrezione e alla condizione della beatitudine…” Il Signore offre questa saggezza pratica e amante ad una intelligenza limitata; e quando noi, animati dalle più alte disposizioni, eleviamo a lui i nostri canti, che sono di volta in volta gioiosi o tristi, di lode e di abbandono, questa parola allora ci innalza, ci conforma e ci identifica con il nostro modello divino. A quel punto la carità ha raggiunto la sua espressione più perfetta: è il cuore a cuore di Gesù santificante e dell’anima santificata. Egli rivive, rappresentato nei suoi misteri e nella sua gloria, e si lascia assorbire come un’acqua zampillante. “Come infatti la pioggia e la neve, scrive Isaia, scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. E’ quindi con, in e per Cristo, parola e saggezza, che si realizza il ritorno della creazione alla sua fonte. "In principio era il Verbo e il Verbo era Dio e il Verbo era presso Dio… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". L’abbassamento benevolo del Figlio è fonte prodigiosa della nostra santità.

I sacramenti ci presentano questo meraviglioso scambio in una nuova luce, in quanto il Redentore non condividerà la sua saggezza ma la sua stessa vita; riceveremo la grazia che è il segno distintivo della sua immensa carità e il pegno della nostra partecipazione alla felicità futura.

Nell’Eucaristia, fondamento e culmine della vita cristiana, la bontà divina dispiega tutta la sua grandezza. Non si tratta più soltanto della presenza storica e simbolica contenuta nelle Sacre Scritture; neppure degli effetti divini causati e significati dalla vita sacramentale; nell’Eucaristia Gesù si dà con tutto il suo essere: corpo, sangue, anima e divinità. “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”. Egli è qui presente, esposto ai nostri sguardi, umilmente nascosto sotto le specie eucaristiche, realmente e sostanzialmente presente, Dio e uomo. Lui è lì e ci esorta a gran voce – “Figlio mio, dammi il tuo cuore” -; Egli non si aspetta da noi null’altro che un ricambio d’amore. "In questo banchetto nuziale, ha scritto il fondatore dei Sulpiziani Jean Jacques Olier, il Signore considera l’anima come la propria sposa, mostrando che attraverso la Santa Comunione egli raggiunge tutte le intenzioni di sua moglie, mentre questa, a sua volta, raggiunge tutte quelle di Gesù Cristo, suo Sposo”.

Purtroppo, il peccato dei nostri progenitori ha profondamente deviato il nostro orientamento fondamentale e primario verso il bene; senza l’aiuto divino, l’anima ferita non sarebbe in grado di tornare alla patria celeste. La liturgia è la pedagogia a Dio; è il rimedio che il medico celeste applica alle ferite e alle ustioni della storia umana; la liturgia è il pane che rafforza e nutre l’affamato, l’acqua zampillante che consola e disseta, l’olio che addolcisce l’amarezza delle contraddizioni e dello sconforto ... amore multiforme ed inesauribile del Signore che ancora una volta si incarna nelle parole, nei gesti, nei riti, negli usi e nei colori che dobbiamo amare e mantenere, soprattutto perché costituiscono gli aurei ornamenti dell’eletta celebrata nel canto delle nozze regali di Israele: “astitit Regina a dextris tuis in vestitu deaurato”. Il giorno dell’Incarnazione, il Figlio di Dio ha assunto la nostra condizione mortale. Riflesso dell’unione armoniosa tra cielo e terra, sigillata dal suo sangue versato, la liturgia è umana e divina al tempo stesso. Il suo insieme di testi, di cerimonie, di rubriche non ha altro scopo che quello di manifestare agli occhi dell’intelligenza umana, povera e limitata, la grandezza del disegno d’amore di Dio per la creazione. Ne è l’anima. Ancora una volta il Redentore del genere umano scende tra di noi e ci permette di esprimere, in modo assolutamente gratuito, un po’ del nostro amore e della nostra lealtà. Mettiamo in quest’opera quanto più ci è possibile di rispetto e di splendore! Aumentiamo la nostra attenzione e il nostro fervore! Diamo al culto divino al primo posto!

La liturgia misura realmente l’intensità della nostra unione con Dio; essa appare quindi indirettamente come il più bello e più autentico luogo della carità fraterna. Tutte le manifestazioni di venerazione e di amore che il nostro atteggiamento esprime, i nostri canti, i nostri pensieri, i dettagli delle cerimonie, la bellezza e la decorazione dei nostri edifici, la solennità dei santi misteri, la loro celebrazione minuziosa e attenta… insomma tutto ciò che contribuisce alla realizzazione degna della liturgia deve rinnovare le profondità del nostro cuore in modo che la carità si dilati con abbondanza e ordine, lasciando trasparire i tratti del volto di Gesù Cristo.

“Il calore del sentimento, scrive Romano Guardini, deve penetrare, permeare tutte le forme di preghiera. La liturgia dice la sua. E’ tutto un tesoro di pensieri vivi che riempie il sentimento; pensieri sorti in un cuore che batte, pensieri che possono a loro volta avvolgere e commuovere il cuore che è disposto ad ascoltarli. Nel culto liturgico si riflette tutta una vita emotiva dotata di un’espressione potente e a volte appassionata... Il cuore si esprime con forza, ma allo stesso tempo anche il pensiero si esprime con una forza uguale; nelle preghiere più ricche si trova un sapiente equilibrio interiore; una saggezza vigile e ordinata mantiene gli slanci del cuore entro una serena disciplina”. Il fatto è che la liturgia tende a rinnovare dal profondo tutte le potenzialità dell’amore umano: essa manifesta in qualche modo l’opera paziente della Grazia su ciascuno di noi e per questo motivo essa sorpassa l’ambito delle mere sensazioni. La liturgia non può essere considerata separatamente dalla vita teologale: ne è il veicolo, lo strumento e la manifestazione. Fare nostra l’opera dell’amore che ci ha redento, significa entrare nelle intenzioni del Cuore di Gesù e affrettare la venuta del suo regno nel mondo.

Poiché la liturgia è in senso stretto il bene della Chiesa in preghiera e non una questione personale, essa ha una potenza ineguagliabile sul cuore dell’uomo. Attraverso di essa ci vengono aperti i tesori accumulati nel corso della storia sacra, con le virtù e i meriti dei beati. Gloriosa comunione dei santi che ci dà accesso alle necessità del prossimo. Uniti alla Carità in persona, è facile per noi intercedere per il nostro povero mondo, ottenendogli con la lode e il sacrificio, l’effusione della grazia dall’alto! La liturgia ci pone al centro della Chiesa, l’organo più intimo e più influente dell’umanità di Cristo, focolare ardente della sua carità, crogiolo delle sue grazie e benedizioni. La preghiera di compassione costituisce il completamento del nostro ritorno a Dio; si tratta di un’immolazione congiunta a quella di Cristo sacerdote e vittima, realizzazione di un’unione tutta soprannaturale.

Se si comprendesse lo spirito autentico della liturgia, il mondo intero ne trarrebbe beneficio e sarebbero alleviate molte povertà umane, sia materiali che spirituali. Preghiamo la Vergine addolorata affinché il clero capisca l’importanza della liturgia, mettendola nella loro vita e nel loro apostolato al posto che le spetta, cioè il primo.

Carissimi amici, osiamo chiedere al nostro Divin Salvatore, presente nelle cerimonie e sotto i simboli di cui vive la liturgia, che apra gli occhi della nostra anima. Così impareremo a contemplare con una devozione e una gratitudine sempre maggiori i miracoli della carità increata. Essa si manifesta ogni giorno nell’ufficio divino, nella vita sacramentale e con splendore assoluto durante la Santa Messa. La carità increata si dona e si adatta a ciascuno dei nostri bisogni e alla moltitudine dei nostri difetti. Essa diviene, nell’anima devota, il fondamento di una nuova vita, piena di amore per Dio e per il prossimo. Cosa potremmo volere di più? “Cosa renderemo al Signore per tutto quello che ci ha dato?” Rispondiamo allora con gioia alla chiamata del Cuore di Dio: uniamoci sin d’ora al canto degli angeli e dei beati. E domani, in cielo, riprenderemo con tutto il cuore l’inno dell’eternità.

Sia lodato Gesù Cristo.

Rev.do Mons. Gilles Wach, Priore generale, ICRSS
Roma, 15 settembre 2017