Lettera 99 pubblicata il 19 marzo 2018

IL MESSALE DI PAOLO VI: UN'EMORRAGIA DEL SACRO

Dopo la nostra analisi del nuovo messale relativamente al suo aspetto cerimoniale (leggere qui), dedichiamo la presente e la prossima lettera al contenuto stesso di questo messale promulgato il 3 aprile 1969 e alle sue carenze dal punto di vista dottrinale e spirituale. Delle carenze che hanno condotto, dopo cinquant'anni, ad una vera e propria emorragia del sacro.

Comunione a Manila nel gennaio 2015 durante una visita di papa Francesco: perdita del sacro, perdita di senso eucaristico. Il triste frutto di una riforma liturgica che pretendeva di rendere più "comprensibili" i santi misteri.

I - Una prospettiva ecumenica, ma nella sola direzione del protestantesimo

L'ecumenismo, parola chiave del Vaticano II, in materia liturgica non guardava che al protestantesimo. Il Consilium per l'applicazione della riforma liturgica, di cui Monsignor Annibale Bugnini era il Segretario, accantonò immediatamente il proposito iniziale di invitare osservatori ortodossi. Dalla sessione dell'ottobre 1966, invece, cinque osservatori protestanti assistettero a tutte le sue assemblee: due, designati dalla Comunione anglicana; uno, dal Consiglio ecumenico delle Chiese; uno dalla Federazione luterana mondiale; ed uno dalla Comunità di Taizé (Max Thurian). Mettere la revisione totale della liturgia romana sotto la lente dei rappresentanti delle comunità più critiche rispetto al culto "papista", fu una vera rivoluzione.

Essi vennero ufficialmente consultati in varie occasioni. Per esempio, nell'istruzione Eucharisticum mysterium del 25 maggio 1967, quanto riguardava l'eucarestia in una prospettica ecumenica venne redatto "tenendo conto delle osservazioni dei fratelli non cattolici" (Roger Tillard, La Maison-Dieu, III trimestre 1967, p. 55). In generale, per via della preoccupazione di cercare "di andare nella loro direzione", la loro influenza si manifestò come nella stesura delle nuove raccolte del santorale, per le quali si cercava "di eliminare per quanto possibile ogni riferimento all'intercessione dei santi" (Pierre Jounel, La Maison-Dieu, I trimestre 1971, p. 182).

Ma, il punto principale della collaborazione ecumenica fu la composizione di un nuovo lezionario domenicale. Gli osservatori protestanti spiegarono, per esempio, che erano scioccati che la liturgia tradizionale utilizzasse dei passaggi dei Libri della Sapienza per le feste mariane (Pierre Jounel, "Le Culte de la Vierge Marie dans l'année liturgique", Paroisse et Liturgie 87, pp. 13-14). Così gli si diede soddisfazione. La questione era: occorre arricchire il lezionario tradizionale o crearne uno completamente nuovo? Fu considerata l'ipotesi di un arricchimento nella linea della tradizione, attraverso sistemi di lettura complementari anticamente in uso in alcuni luoghi, ma Padre Cipriano Vagaggini riuscì a convincere i suoi confratelli che era necessaria una completa revisione.

In definitiva, il nuovo lezionario venne organizzato così:

1/ Il lezionario delle domeniche e delle feste introdusse il principio delle tre letture, con una lettura semi-continua delle epistole e dei vangeli in due cicli indipendenti.

2/ Il lezionario feriale, con due letture, con la prima stabilita secondo un ciclo di due anni e il vangelo secondo un ciclo annuale.

3/ Il lezionario dei santi, con due letture. Solo i testi strettamente riferiti al santo specifico risultano, di fatto, obbligatori. Nelle letture che accompagnano i sacramenti, battesimo, matrimonio, funerale, regna la libertà di scelta.


In definitiva, è il sovvertimento di una tradizione più che millenaria, con lo smantellamento di tutta una linea di commentari antichi (san Bonaventura) o moderni (Dom Guéranger) che si riferiva a questo venerabile lezionario romano.


II - Una minore espressione della presenza reale


Questo contesto ecumenico con lo sguardo rivolto al protestantesimo, determina l'effetto di risultare meno reverente rispetto alla presenza reale nell'eucaristia. Questa è la conseguenza di un insieme di trasformazioni.


Le genuflessioni del sacerdote dopo la consacrazione vengono ridotte di numero (dodici nel messale tridentino, tre nel messale nuovo).


Viene soppressa la giunzione obbligatoria del pollice e dell'indice di ciascuna mano dopo la consacrazione e fino alla purificazione che segue alla comunione. Questa pratica permetteva di evitare che cadessero delle particelle di ostia che si fossero eventualmente appiccicate alle dita. Lo sfregamento per precauzione di queste due dita sopra al calice dopo ogni contatto con l'ostia, non esiste più. Come non esiste più la raccolta delle particelle che potrebbero trovarsi sul corporale, con la patena, per farle cadere nel calice, prima della comunione con il Prezioso Sangue. Ed infine viene soppressa la purificazione delle dita, con il vino e l'acqua, dopo la distribuzione della comunione.


Non è più obbligatorio che la coppa del calice e del ciborio, come l'interno della patena, siano dorati in onore delle sante specie. Sull'altare è necessaria una sola tovaglia, e non le tre tradizionali che potevano assorbire il vino consacrato se si fosse versato. La palla inamidata (o animetta) per coprire il calice, per evitare che polvere o insetti cadano all'interno, è divenuta facoltativa.


Nel nuovo messale, il racconto dell'Istituzione appare come la narrazione di un avvenimento passato piuttosto che la pronuncia di una formula di consacrazione sul pane e il vino presenti sull'altare, visto che tra l'altro i caratteri tipografici utilizzati per le parole della consacrazione sono identici a quelli delle parole precedenti e seguenti, mentre, nel messale tradizionale, queste stesse parole sono stampate in caratteri notevolmente più grandi. Allo stesso modo, mentre nel messale tradizionale il Hoc est enim Corpus… e il Hic est enim calix… sono separati da ciò che li precede da un punto e a capo, nel messale nuovo, queste parole sono introdotte da due punti e a capo, come fosse l'introduzione di una citazione narrativa.


La preghiera Perceptio Corporis tui, la più reverenziale delle preghiere di preparazione alla comunione, "La comunione del tuo Corpo, che io indegno adisco ricevere, non mi si trasformi in delitto o condanna...", viene omessa nel nuovo messale.


La modifica più importante dal punto di vista del segno e delle sue conseguenze sulla reverenza e la fede dei fedeli, è l'introduzione della comunione in mano per i fedeli. È a partire dal 1965/66, senza alcuna autorizzazione, che la comunione ha cominciato ad essere data nelle mani, un abuso coperto dalle conferenze episcopali. La Santa-Sede organizzò allora una strana indagine tra i vescovi del mondo per sapere se questa pratica "selvaggia" fosse o no legittima. Le risposte comunicate dai vescovi furono in netta maggioranza negative: la comunione in mano non era legittima. Nonostante ciò, l'Istruzione Memoriale Domini del 29 maggio 1969 fece accedere questa pratica alla categoria di "eccezione": la comunione tradizionale in ginocchio e sulla lingua rimaneva la regola, ma la Santa-Sede si rimetteva al giudizio delle conferenze episcopali per permettere la comunione in mano. E l'abuso, divenuto "eccezione", si trasformò rapidamente in regola: la quasi totalità delle conferenze episcopali adottò questo modo di ricevere la comunione. In concreto, questo ricevimento dell'ostia consacrata in mano interruppe una lunga tradizione di rispetto religioso e condusse alla banalizzazione di uno dei momenti liturgici più importanti e più toccanti per i fedeli che partecipano ai santi misteri.


III Il Sacerdote da capo gerarchico a presidente dell'assemblea


Paradossalmente, nella liturgia riformata, la distinzione fra il presidente e il fedeli risulta accentuata. Le forme di culto tradizionali, in effetti, fondevano tutti i presenti in un medesimo insieme ritualizzato. Il debole ritualismo delle cerimonie nuove, così come anche la parte rilevante degli interventi liberi del celebrante, lasciano uno spazio considerevole al suo "gioco" personale. La sua presenza, in un atto di culto, tutta in lingua vernacolare e con una parte lasciata all'improvvisazione, è molto più marcata che nella forma tradizionale.


Nella messa nuova, l'officiante, è più presidente, che capo gerarchico che intercede per il popolo. La distinzione sacramentale tra il sacerdote, i ministri e i fedeli, è meno marcata, come risulta da un insieme di dettagli: Il Confiteor dell'inizio della messa è comune a tutti i presenti, dopodiché il sacerdote non dà più l'assoluzione. Nel messale antico invece è previsto un Confiteor riservato al prete seguito da quello dei ministri e dall'assoluzione del prete. Questa richiesta di purificazione dell'anima del ministro era raddoppiata da due orazione pronunciate dal sacerdote, una, salendo all'altare, tratta dal Sacramentario Veronese ("Togli da noi, te ne supplichiamo, Signore, le nostre iniquità..."), l'altra chinandosi davanti all'altare ("Signore ti preghiamo, per i meriti dei tuoi Santi dei quali son qui le reliquie, e di tutti i Santi, a segnarti di perdonare tutti i miei peccati"). L'antica distinzione fra la comunione del prete e quella dei fedeli (il prete pronunciava tre volte da solo il Domine non sum dignus…, si comunicava al Corpo e al Sangue, poi si girava verso i fedeli, che a loro volta recitavano tre volte il Domine non sum dignus…) viene abolita: il prete dice assieme al popolo, una volta, "Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa...", si comunica e poi comincia la comunione dei fedeli.


Per quanto riguarda i ministri, c'è un'inversione di rotta. Nella messa tradizionale, potevano essere dei laici, ma venivano assimilati a dei chierici durante la celebrazione. Nella messa nuova, i ministri all'altare restano chiaramente dei laici, il che laicizza la celebrazione. Ma si va più lontano: il motu proprio Ministeria quaedam di Paolo VI, del 15 agosto 1972, che ha soppresso gli ordini minori e il suddiaconato, non ha lasciato sussistere che i due ministeri del lettorato e dell'accolitato, riservati agli uomini, ma che restano dei fedeli laici. In tutte le ipotesi, i differenti servizi liturgici resi durante la messa, letture, intenzioni della preghiera universale, direzione dei canti dell'assemblea, avvisi e commenti, distribuzione della comunione come ministri straordinari, vengono fatti dai fedeli in quanto laici. Ciò è confermato dal fatto che sono sia uomini che donne, che, almeno finora, non possono entrare nel clero.


Riguardo il servizio all'altare, le istruzioni Liturgicæ instauratione, del 5 settembre 1970, e Inæstimabile donum del 3 aprile 1980, avevano richiamato il divieto al servizio delle donne all'altare. Malgrado tutto, la pratica delle ragazzine come chierichetti, si allargava sempre di più. Allora, come al solito, si è passati dal divieto, al permesso eccezionale di ciò che avveniva già, e infine all'uso comune: una risposta della Congregazione per il culto Divino del 15 marzo 1944 precisava che il principio restava lo stesso ("Sarà sempre opportuno seguire la nobile tradizione del servizio all'altare affidato a dei giovani ragazzi"), ma che ciascun vescovo poteva, se lo reputava opportuno, autorizzare questo servizio a titolo di "supplenza temporanea". Una volta ancora, l'abuso, riqualificato come "eccezione", è praticamente divenuto la regola.


IV Meno trascendenza, più "immersione nella vita reale"


Il tema di una partecipazione attiva di tutti i battezzati andava a braccetto con quello dell'adattamento di testi, gesti, simboli per una migliore comprensione del messaggio. La liturgia doveva essere più pedagogica per gli uomini di oggi (Sacrosanctum Concilium, n. 34). Questo dimostra una strana mancanza di comprensione dei segni dei tempi: noi contemporanei, privati di questo patrimonio simbolico dalla riforma, lo ricerchiamo nelle liturgie orientali, e, man mano che ridiviene accessibile, direttamente nella liturgia tradizionale.


Il passaggio da una lingua sacra ad una lingua d'uso profano (e puramente profana, senza la distanza conferita da una versione antica, come, per esempio, presso gli anglicani, il Book of Common Prayer, o la King James Version, Bibbia di Re Giacomo I di Scozia, o lo slavo ecclesiastico, in uso presso gli ortodossi e alcuni uniati russi) vi ha fortemente contribuito. Da un discorso in una lingua propriamente liturgica si è passati ad un discorso su un registro inferiore, che, se va bene, può ritrovare un po' di sacralità in un "tono curato" del celebrante, ma che per la maggior parte del tempo è totalmente banalizzato.


La qualità delle espressioni delle preghiere nuove, rese volontariamente accessibili al pubblico individuato, accentua questa impressione e, a volte, arriva direttamente a svalutare il messaggio stesso. Così, nella preghiera eucaristica per circostanze particolari: "(Gesù) che è presente in mezzo a noi, quando ci riuniamo in suo nome: come un tempo per i suoi discepoli, ci apre le Scritture e condivide il pane". Nella prima preghiera preghiera eucaristica per le assemblee di bambini:

"Una sera, giusto prima della sua morte, Gesù mangiava con i suoi Apostoli. Lui prese del pane sulla tavola. Nella sua preghiera lo benedisse. Poi ha condiviso il pane dicendo ai suoi amici:...". Nella seconda preghiera per bambini: "Si, Padre molto buono, c'è una festa per noi; il nostro cuore è pieno di riconoscenza". O ancora: "È venuto per strappare dal cuore degli uomini il male che impedisce l'amicizia, l'odio che impedisce di essere felici". Nella terza: "Noi possiamo rincontrarci, parlare insieme. Grazie a te, possiamo condividere le nostre difficoltà e le nostre gioie". (1)


Inoltre, contrariamente alla pratica della liturgia tradizionale, quasi tutto è ormai detto ad alta voce, ed in particolare la preghiera eucaristica. Il silenzio del canone, attestato dal IX secolo, serviva nella liturgia latina come una iconostasi morale. Il "segreto" dell'azione sacra era una delle grandi caratteristiche romane, immagine della preghiera silenziosa di Cristo diretto verso il suo sacrificio. Questa barriera misteriosa oramai non esiste più, e la pronuncia di quelle parole ad alta voce sottolinea inoltre la forma piuttosto comune del discorso. Se ne trae l'impressione di "chiacchiere continue" che respingono il silenzio del raccoglimento. E questo accade tanto più che il celebrante, volente o nolente, attribuisce a sé stesso la cerimonia come un lungo monologo.


Si noterà anche una certa enfasi dovuta al fatto che la teologia degli anni cinquanta e sessanta era marcata da un senso di ammirazione un po' naif seguito alla "scoperta" delle scienze umane. Il fenomeno si è tradotto in liturgia con il desiderio di dimostrarsi collegati con la realtà terrena. La stretta di mano scambiata dai partecipanti all'eucarestia prima della comunione sottolinea la loro solidarietà. Gli "eucologi" che rimpiazzano l'offertorio, valorizzano il significato del pane e del vino come "frutti del lavoro degli uomini".


Questi fenomeni di crollo del sacro sono dunque il frutto dei numerosi elementi profani introdotti nella celebrazione: l'intervento di uomini e donne vestiti normalmente per fare le letture o per dare la comunione come ministri straordinari; la stretta di mano o il bacio della pace sulle due guance; l'augurio di una buona domenica ai parrocchiani al momento del commiato, proprio come un panettiere ai suoi clienti.


Occorre d'altra parte insistere sul fatto che la generalizzazione della celebrazione intenzionalmente verso il popolo concorre fortemente ad un abbassamento di livello del rito. Questa forma di celebrazione si era molto diffusa all'inizio degli anni sessanta, per divenire quasi generale verso il 1964-65, tanto che la riforma conciliare non ha neanche dovuto legiferare al riguardo. Si potrebbe del resto sostenere che i testi la consideravano teoricamente come un'eccezione (2) che però era già divenuta praticamente la regola. La celebrazione nuova, con l'altare-tavolo più vicino ai fedeli, sul quale si compiono, sotto gli occhi di tutti, dei gesti abbastanza comuni, fa tutt'uno con il "verso il popolo", come viene sottolineato dalle reazioni violente suscitate da qualsiasi invito ad abbandonarla. (3)


Mentre le liturgie tradizionali, latine o greche, paradossalmente fanno toccare il sovrannaturale enfatizzando con i loro gesti e con le loro parole il carattere trascendente del mistero che esse svelano velandolo, in una sorta di gioco continuo di allontanamento/avvicinamento (4), da tutte queste "immersioni nella vita reale" praticate dalla riforma deriva invece in modo chiaro un'impressione di abbassamento della trascendenza del messaggio.

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(1) Le citazioni sono la traduzione delle preghiere eucaristiche del messale in uso in Francia.
(2) Vedi Cyrille Dounot, « Plaidoyer pour la célébration ad orientem », L'Homme nouveau, 3 dicembre 2016, p. 11.
(3) Vedi quelle provocate dal discorso di apertura del colloquio Sacra Liturgia pronunciato a Londra il 5 luglio 2016 dal cardinale Robert Sarah, Prefetto della Congregazione del culto divino.
(4) Vedi Martin Mosebach, Eresia dell'informe. La liturgia e il suo nemico, Cantagalli, 2009.